RECENSIONI
Compendio di Teologia dogmatica
dal Numero 9 del 3 marzo 2013
di Fabrizio Cannone

Autore: Ludovico Ott
Edizioni Ichthys, Albano Laziale 2012
Pagine: 850
Prezzo: € 40

Il cattolico di lingua italiana, laico o sacerdote, possiede due strumenti formativi di eccezionale validità teologica. Il Commento al Catechismo di San Pio X (che abbiamo già recensito su queste pagine, di padre Dragone) e ora, per approfondire, questo nuovo magnifico strumento: lo Ott, come si dice di tutti i testi immortali o comunque di notevole pregio e durata (lo Zingarelli, il Denzinger, ecc.).
    Non abbiamo conoscenza di moltissimi manuali di teologia, ma tra quelli che abbiamo letto o consultato, questo ci pare senza dubbio il migliore, per sicurezza e acribia teologica, metodo espositivo usato, notevolissimo apparato di fonti patristiche, scolastiche e magisteriali e infine, benché si tratti di una traduzione dall’idioma germanico, per la pulizia del linguaggio, accessibile e preciso (quasi si trattasse di matematica più che di teologia). Non vogliamo iniziare qui la nostra solita tirata contro la decadente teologia post-conciliare, dunque sul punto – per una volta! – preferiamo tacere. Ma sfogliando il testo, e in particolare l’Indice analitico-alfabetico (da Abelardo a Zwingli) che comporta non meno di 30 pagine e centinaia di voci, si nota la sistematicità e la profondità della veduta d’insieme dell’Autore, cose ormai rare anche in testi di illustri docenti universitari.
    Nella presentazione, i sacerdoti curatori Natale Bussi e Gennaro Giuliano, spiegano che il «Compendio si propone di presentare in forma breve e chiara gli elementi essenziali della dottrina dogmatica cattolica con i rispettivi fondamenti delle fonti della fede» (p. 5). Aggiungono poi che l’Autore nella compilazione si è ispirato ai suoi maestri di studio, il Rackl (†1948) e il Grabmann (†1949), seguendo altresì i manuali di Bartmann (tradotto dalle Paoline e che andrebbe ristampato anch’esso), Diekamp, Pohle e Van Noort, nomi che forse dicono poco al lettore di oggi, ma che furono considerati, specie il Grabmann e il Bartmann, come giganti della teologia. L’opera di Ott dunque, anche in questa traduzione, ottenne il necessario nulla osta per la stampa nel 1964, a ben due anni dall’inizio del Vaticano II. Questa versione «è stata curata sulla terza edizione tedesca con il complemento di alcune aggiunte in parte comunicate espressamente dallo stesso Autore e in parte redatte dai sottoscritti» sacerdoti (p. 5).
    Il Compendio è diviso in 5 Trattati nei quali è svolta tutta la scienza della fede, senza alcuna omissione di rilievo. Il Primo è logicamente su Dio e la sua esistenza, essenza e attributi, poi in quanto Trinità di persone. Il Secondo Trattato parla di Dio come Creatore del mondo, degli angeli e dell’uomo, sino al peccato d’origine e alle sue conseguenze. Il Terzo è quello che espone la Cristologia e la Soteriologia, ma che comprende anche l’aureo capitolo della Mariologia (spiegata ottimamente, ma che poteva essere ampliato di molto). Il Quarto è consacrato a Dio santificatore e spiega i temi, necessari per ogni costrutto di fede, della grazia (la grande obliata della micro-teologia attuale), della Chiesa e dei Sacramenti. A questi ultimi sette divini Segni sono dedicate pagine vaste e fini che davvero fanno entrare il lettore nel mistero della produzione, impalpabile, della grazia santificante nelle anime dei giusti. Conclude il Manuale il Trattato Quinto sull’Escatologia, individuale e collettiva.
    Su queste 5 parti si potrebbe scrivere molto, per cui asteniamoci del tutto dal farlo: ribadiamo solo che lo studente, lo studioso, l’insegnante di religione e perfino il teologo, vi troveranno seri elementi di riflessione, una ricchissima argomentazione apologetico-didattica e la soluzione facile di quesiti che oggi rompono il capo degli specialisti e che non possono essere sciolti senza essere ben impostati...
    Ciò che secondo noi rappresenta il pregio più alto del Manuale, consiste nell’aver saputo dare, a volte in modo parzialmente discutibile, delle note teologiche alle varie Tesi affermate in base al grado di certezza raggiunto dalla Chiesa. E proprio qui si staglia il problema della ricezione di larga parte del Magistero cattolico, spesse volte “pastorale” e “orientativo”, successivo al Vaticano II. È evidente per esempio, come scrisse mons. Ocariz sull’Osservatore Romano in margine ai colloqui dottrinali tra la Santa Sede e la Fraternità San Pio X, che non ogni singola affermazione del Magistero è da prendersi alla lettera, ancora meno ogni passo di ogni documento conciliare si configura come l’affermazione di una Tesi su cui la Chiesa vuole impegnarsi e per la quale urge l’adesione di fede. L’Ott, che pubblica questa edizione dell’opera a Concilio iniziato, ne dà un magnifico esempio proprio distinguendo, da vero teologo, i gradi di certezza delle varie proposizioni (cf. pp. 22-24). Così sono distinte le asserzioni dogmatiche di fides divina (verità immediatamente rivelate), di fides definita (verità infallibilmente definite dal Papa o dal Concilio), di fides ecclesiastica (verità che poggiano sulla autorità della Chiesa), di sententia fidei proxima (dottrina ritenuta come rivelata ma non ancora direttamente definita), di theologicæ certa (assunto dedotto da una verità definita e una di ragione, come le conclusioni teologiche), e poi le note di più basso grado di certezza come sentenza comune, sentenza probabile, molto probabile, ecc. Si potrebbe obiettare a questo modo di procedere e di “sezionare” il Magistero che queste importanti indicazioni sulla Rivelazione... non sono esse stesse rivelate! Ma questo è vero solo in parte, dato che nel Sommo Magistero dei Pontefici si trovano, con lievi variazioni, i termini di approvazione qui usati e quelli speculari di riprovazione, detti comunemente censure teologiche (tipo proposizione eretica, prossima all’eresia, erronea, temeraria, offensiva delle pie orecchie, ecc.).
    Si noti che se per tutti i Dogmi della Fede, come quelli del Credo e quelli definiti solennemente (esistenza del Purgatorio, dell’inferno, dogmi cristologici, pneumatologici e mariani), l’Ott usa l’espressione De fide, non sempre lo fa per altre asserzioni (non solenni) del Magistero della Chiesa. Facciamo alcuni esempi concernenti la Chiesa come oggetto di fede. Se alle tesi La Chiesa fondata da Cristo è una, oppure La Chiesa nel definire una dottrina di fede e di morale è infallibile, viene attribuita la nota teologica De fide; alle tesi: La Chiesa è una comunità esterna e visibile e Alla Chiesa appartengono non solo i santi ma anche i peccatori, è attribuita soltanto la nota di Sentenza certa (p. 498), nonostante le ripetute affermazioni in tal senso da parte del Magistero. Come mai? Perché quando si aveva quell’intelligenza della fede che sapeva distinguere, all’interno dello stesso Magistero, ciò che è infallibile da ciò che non lo è, e soprattutto ciò che esso intende definire da ciò che è detto ma senza la volontà esplicita di definire, si sapeva capire meglio il pensiero della Chiesa e seguirlo, senza disobbedienza, obbedientismo auto-referenziale di comodo e paura di ragionare. La crisi attuale affonda le radici proprio nella mancanza di questo spirito di discernimento: più si dichiara di voler “obbedire” a ciò che non è né sicuro, né definito, né definitivo (presente in vari brani del magistero conciliare), più si tenderà per contrappasso a disobbedire e ad allontanarsi da ciò che è certo, sicuro e limpido, come tutte le verità, dottrinali e morali, facenti parti della Divina Rivelazione.

* Il prezioso testo si può richiedere alle Edizioni Ichthys, via Trilussa 45, 00041 Albano Laziale, Roma o allo 06/9306816.

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